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Il modo migliore per rendere omaggio a un musicista che non è più tra noi è quello di ricordare la sua musica. Quella di Mauricio Kagel, che se ne è andato il 18 settembre 2008, merita un ricordo ancor più convinto in quanto spesso tenuta ai margini delle programmazioni. Due sono le ragioni per cui ciò è avvenuto: in primo luogo Kagel si è sempre mantenuto in una posizione artistica di assoluta autonomia rispetto alle correnti più egemoniche della musica contemporanea, in anni di dominio seriale, prima, postmoderno dopo. In secondo luogo molte delle sue creazioni sono state colpite da un “paternalistico” fraintendimento che ha frequentemente portato a considerare molte opere come prodotti di un’attitudine meno pregiata come quella teatral-gestuale, colpevole di dribblare un più consapevole costruttivismo a vantaggio di una semplicità espressiva più immediata. La realtà è che l’arte di Kagel è sempre stata più comunicativa rispetto a moltissime altre e, anche per questo motivo (ma, ovviamente, non solo) anche migliore. L’etichetta “gestuale”, appiccicata anche ad altri eterodossi come Bussotti, è invece, a nostro parere, specchio di una visione orientata in modo assolutamente pionieristico alla sinergia artistica, non solamente come terreno di incontro tra ambiti creativi diversi (la musica, il teatro, il cinema), ma anche come fulcro espressivo di dimensioni culturali apparentemente distanti (psicanalisi, storia, politica).
In questo senso Acustica per sorgenti sonore sperimentali e altoparlanti (1968-70), sembra poter rappresentare nel modo migliore l’intero universo kageliano, che spazia liberamente in un parco timbrico dalla vastità impressionante. Tanti strumenti (reali o giocattolo), usati in modo non sempre convenzionale, sono abbinati a dispositivi elettrici di amplificazione o produzione di suono. Inutile fare un elenco: basti vedere alcune foto o filmati dell’esecuzione per farsi un’idea di come poter utilizzare una bombola di aria compressa, palloncini gonfiabili, animaletti giocattolo, secchi d’acqua, grammofoni con le amplificazioni più strane, strumenti etnici delle più svariate specie e decine di altre diavolerie.
200 carte poi, a cui corrispondono le indicazione per ogni strumentista (in numero variabile), organizzano la partitura di Acustica: fin dei disegni indicano l’azione da perseguire accanto alla figurazione ritmico-melodica più tradizionalmente tracciata. L’ordine attraverso cui le sequenze si assemblano è tuttavia lasciato agli interpreti, mentre rimane unica la traccia su nastro magnetico che segue l’intera esecuzione e che è la stessa della Prima del 1970 avvenuta a Colonia. Nel rapporto dialettico tra le diversi sorgenti (concreta ed elettronica) fiorisce una seducente visione di Kagel (immortalata splendidamente nel cortometraggio grottesco “Antithese”) che trova nella dimensione “umana” la strada migliore per la musica elettronica. Ecco concretizzarsi allora un luogo immaginario in cui l’uomo non si perde nel meandri di una tecnologia che rende schiavi, ma riesce a mantenere la propria integrità fatta di emozioni reali (si può ridere durante un pezzo di musica contemporanea? Si può provare con Acustica). Ecco allora l’aspetto “gestuale” della musica di Kagel che riparafrasata potremmo tradurre come “avanguardia umanizzata”.
2008 © altremusiche.it
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