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Meredith Monk ha da poco, e precisamente dal 20 novembre di quest’anno [2002], passato la fatidica soglia dei sessant’anni, eppure continuiamo a immaginare la sua figura come quella della giovane sperimentatrice newyorkese, capace di regalare emozioni con la sua arte fatta di suoni, immagini e movimenti, semplici, eppur mai scontati. L’ispirazione di questa cantante, ballerina e performer sembra davvero rinnovarsi ad ogni sua riproposta.
“Mercy”, in cui viene ripercorso il filone inaugurato con “Dolmen Music” (1981), nasce come lavoro multimediale, realizzato assieme all’artista e creatrice di istallazioni Ann Hamilton. L’insieme dei materiali musicali viene qui elaborato attraverso l’espansione delle forme e l’inserimento di nuove parti strumentali, precedentemente assenti nella versione multimediale. L’organico del disco comprende tre strumentisti: al pianoforte, sintetizzatore, viola e violino Allison Sniffin, alle percussioni, marimba e vibrafono John Hollenbeck, ai clarinetti Bohdan Hilash; più un gruppo di cantanti tra cui la stessa Monk, Ching Gonzales e Allison Easter, già al suo fianco in passato.
La musica di “Mercy” asseconda la consueta concezione basata su processi di accumulazione che si dipanano a partire da cellule elementari che vengono messe in sovrapposizione poliritmica, secondo pratiche care a certo minimalismo storico.
La vocalità è l’elemento principe in ogni materiale musicale di Meredith Monk: voce sussurrata, cantilenata, messa in sovrapposizione, ricercata nelle sue dimensioni che sperimentano canoni espressivi non ortodossi. I pattern strumentali vengono messi a sostegno delle parti vocali, evocatrici di suoni dell’anima. Le dimensioni della voce, che hanno trovato quotidiana frequentazione nella sua pratica sperimentale, vivono in assoluta spontaneità dentro strutture nate dalla ricerca come esigenza espressiva e non come calcolo progettuale.
Come molti altri lavori di Meredith Monk, colpisce il primitivismo della concezione, come la riduzione dell’idea germinale e il trattamento essenziale delle parti. Un primitivismo che è caratteristica del post-moderno capace di azzerare tutto per ripartire da elementi storicizzabili, ma non storicizzati, in una reale e assoluta contaminazione verticale (ossia storica) e orizzontale (ossia geo-culturale).
Probabilmente questo “Mercy” ha la forza di certi lavori della maturità artistica, nei quali si riesce a offrire idee semplici, senza perdere in essenzialità e in ricchezza. Così la grazia della musica Meredith Monk è capace di pervaderci, sebbene priva, nell’incompleta veste del supporto audio, di tutti quegli elementi teatrali e multimediali, che, per una volta, sono davvero essenziali al fine di poter assaporare l’interdisciplinarietà di questa eclettica artista, dalla notevole carica comunicativa.
2002 © altremusiche.it
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