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Una manciata di registrazioni del giovane Feldman (che all’inizio degli anni ’50 aveva su per giù 25 anni) donano a questa raccolta un interesse quasi archeologico nei confronti dell’avanguardia americana, un movimento che – assieme ad una non-calcolabile quantità di artefatti culturali piovuta su questo continente da sessant’anni a questa parte – contraddistingue la storia della musica contemporanea anche attuale. Oltre al pianoforte, grande protagonista della vita compositiva di Feldman, affascinano gli esperimenti su nastro magnetico di Intersection (1953), reperiti da vecchie copie su bobine (senza i master dispersi). Se il lavoro di restauro, ben illustrato nelle note – cosa, per inciso, che spesso manca nei ridondanti libretti dall’austero piglio musicologico di molte pubblicazioni contemporanee – ci dice molto sulle disponibilità dei mezzi per produrre e organizzare il suono all’epoca del rock’n’roll e della Guerra di Corea, gli esiti esperibili dall’ascolto diretto non lasciano grandi impressioni su metodologie che, dal canto suo, il bistrattato Pierre Schaeffer è riuscito a sfruttare molto meglio.
Ma il fulcro di questo intenso periodo creativo è rappresentato senz’altro dalle musiche composte per il film su Jackson Pollock (dal titolo eponimo) di Hans Namuth e Paul Falkenberg, una pellicola (della durata di meno di 10 minuti) che ritrae il pittore all’opera in esterno per la totale mancanza di luci e attrezzature varie. Il lavoro di post-produzione prevedeva l’inserimento di musiche gamelan, avversate però da Pollock, il quale, sentendosi un “pittore americano”, sentiva una certa distanza con quel tipo di musica “esotica”. E’ a questo punto che entra in scena il giovane Morton Feldman con una composizione per due violoncelli, registrata da un solo strumento su due differenti piste. La traccia mono di quella banda sonora, che comprende anche una presentazione dalla viva voce di Pollock, viene qui riportata integralmente come Music for Jackson Pollock (1950-51) e si può a tutti gli effetti considerare una registrazione di grande valore documentario. Impressiona soprattutto la qualità dell’audio paragonabile a certi manufatti anteriormente registrati in ambiti jazz o blues, qui invece riferita a un contesti legato all’avanguardia.
Ci sono poi i Nature Pieces (1951), una serie di composizioni che originariamente accompagnavano le coreografie di Jean Erdman e che si distinguono dal tipico stile rarefatto del Feldman successivo per un approccio, pur pacato, ad una sorta di espressionismo astratto applicato al pianoforte (con forti influenze da parte del poco più anziano John Cage). Ma già con Variations (1951), sempre per pianoforte, assistiamo alla totale e suggestiva rarefazione dello spazio sonoro che diventa un insieme di corpuscoli in sospensione, un vero e proprio particolato di note che solamente in una prospettiva falsata può essere ricondotto allo strumento che vanta i fasti virtuosistici del passato.
2003 © altremusiche.it
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