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Dietro la denominazione di “Musica Non Grata” si cela una collana BMG da poco ideata – in sorprendente simultaneità con un’iniziativa della Decca comprendente una serie di pubblicazioni dedicate alla musica cosiddetta “degenerata”, vittima delle persecuzioni naziste – che raccoglie composizioni di musicisti che hanno vissuto e lavorato in Unione Sovietica. Il fatto che certa musica non sia stata gradita agli apparati politici del regime costituisce, a nostro parere, la caratteristica che trasforma un prodotto difficilmente commerciabile in qualcosa che ha molto più a che fare con il marketing che con la buona fede. Intendiamoci la musica contenuta in queste raccolte vale moltissimo e costituisce uno spaccato significativo che testimonia dei livelli davvero eccelsi raggiunti da certi compositori sovietici in anni in cui averne anche semplicemente notizia era difficilissimo. Ma sarebbe stato maggiormente auspicabile che questa operazione fosse stata svolta direttamente dagli interessati, ovvero dagli archivi di stato della Melodiya, casa discografica di monopolio in Unione Sovietica fino a pochi anni fa. Forse la gestione sarebbe stata meno speculativa, trattandosi di materiali preziosi che invece vengono invece affastellati come qualcosa di esotico e lungamente negato al sempre più insaziabile pubblico occidentale.
In realtà dietro tale operazione si cela un’esasperata ricerca di materiali nuovi e pubblicabili: meglio se pre-Darmstadiani, meglio se legati a parametri formali che anche in Occidente, sebbene non viga una censoria Unione dei Compositori, possano essere fruiti senza particolari patemi d’animo. Caduto il regime, si è presentata la possibilità di acquistare nastri e partiture che prima erano irraggiungibili (ma quanti nastri giacciono nei nostri archivi RAI o Fonit Cetra?).
È con l’articolo apparso sulla Pravda nel 1936, intitolato “Confusione anziché musica”, in critica alla Lady Macbeth di Šostakovic, che si apre la fase più critica della pianificazione culturale ed estetica della musica sovietica. Nel 1948 vennero poi accusati di formalismo i vari Šostakovic, Prokof’ev, Khacaturjan, Popov e molti altri. Si giunse al disgelo nell’epoca krusceviana in cui molti dogmi furono rivisti, facendo ritornare la vita musicale ad una fase maggiormente dialettica tra apparati e compositori. Nei primi anni della rivoluzione, a cui si riferisce questa raccolta di composizioni, si afferma quel momento di libertà di impresa denominato NEP che, dal punto di vista delle arti, determina una vera e propria rinascita intellettuale che ha numerosi raffronti con molte realtà europee coeve ma pochi con l’epoca attuale. In musica basti pensare a composizioni come Officina di Alexander Mosolov o alle prime sinfonie di Šostakovic. Nascono associazioni che promuovono la musica contemporanea, anche occidentale: il Wozzeck di Berg ebbe una delle sue prime esecuzioni a Leningrado per merito della sovietica Società per la musica contemporanea (APM), di cui, tra gli altri, faceva parte anche il “non grato” Nikolai Roslavets.
Quest’ultimo è l’autore che apre la raccolta con un quintetto, Nocturne del 1913, che evoca paesaggi sonori impressionistici, legati ad aure poco proletarie. Il compositore viene ricordato per la sua appartenenza all’ala più modernista dell’APM, anche per merito di certe sue sperimentazioni seriali. Il secondo è Vladimir Deshevov con il brevissimo pezzo per piano Relsy (Rotaie) del 1927, in linea con moltissimi brani analoghi dell’epoca che stilizzavano movimenti e rumori delle macchine di cui si dotavano le nascenti industrie: una sorta di futurista, noto per il realismo rivoluzionario della sua opera Il ghiaccio e l’acciaio (1930). Segue poi Leonid Polovinkin con la Suite per due pianoforti del 1947, che viene fatta rientrare in una generica tipologia stilistica degli anni Venti, tra il classicismo della marcia iniziale, l’indifferente compiacimento melodico del Waltz e i suoni barbari di Humoresque. Anche Lev Knipper è presente in questo disco con il bellissimo affresco grottesco del Concerto per archi e fagotto (1970) – anche se ben quattro decenni separano la data della composizione dai fatidici anni Venti. Con Frammenti per nonetto op.2 di Alexey Zhivotov, nove piccoli episodi in ognuno dei quali spicca uno dei nove strumenti, si ritorna all’esuberante vivacità dei Venti. La stessa cosa vale per la Sinfonia da camera in do maggiore (1926/27) di Gavriil Popov, ricchissima e degna di stare al fianco di capolavori dei più illustri, ma altrettanto “non grati”, compositori come Šostakovic o Prokof’ev. Dopo le spillette di Lenin e i colbacchi dell’Armata Rossa giungono a noi anche i prodotti di una cultura musicale ancora da scoprire e valorizzare.
da: “il Giornale della Musica”, n.135, 1998. © il Giornale della Musica-Edt / Michele Coralli
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