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Una stanza vuota è il paradigma di una tabula rasa: il vuoto capace di generare angoscia e di creare pazzia. Forse la semplice mancanza di mobilia non determina “il vuoto”, ma semplicemente una mancanza: sicuramente la mancanza di una forma (a parte le angolari pareti bianche) e di mille funzionalità a noi famigliari. E, a partire dall’idea di vuoto, ci si può ricondurre alla più totale radicalità per riempire senza il ben che minimo determinismo quella totale (o quasi) mancanza di forma.
Un trio berlinese concreto-sperimentale prova a riempire quegli spazi attraverso un disinibito utilizzo della materia sonora che si dipana a partire da campionatori e computer che, a loro volta, manipolano in maniera brutalemente informale suoni concreti (Boris Baltshun), una tromba (Axel Dörner) e un clarinetto (Kai Fagaschinski). Disturbi, interferenze, grezze dimensioni generative, tormentati paesaggi industriali dipingono un quadro sonoro che potrebbe ben rappresentare quelle onde elettromagnetiche che invisibili attraversano le nostre stanze, ma indicano al tempo stesso una strada su cui sembra difficile trovare la via del ritorno. Da Pierre Schaeffer all’azzeramento elettronico.
2003 © altremusiche.it
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