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Un pianismo molto colorato quello del cubano Omar Sosa, qui assieme alle percussioni di Gustavo Ovalles, lui venezuelano, in una performance giapponese calda e intensa. Sosa appartiene a quella nuova generazione di pianisti che hanno ormai perso l’orizzonte dello standard senza darsi particolare patema. Se l’atteggiamento rimane però quello del tradizionale solista jazz, gli orizzonti però cambiano radicalmente, affrancandosi in modo definitivo al modello afro-caraibico, quello che ha oggi nella salsa la sua evidenza più vistosa. Sosa è al suo nono disco in questa direzione, e seppur ancora poco noto dalle nostre parti, potrebbe essere presto protagonista di qualcuno di quei festival nostrani che amano nel jazz l’esotismo e la comunicabilità.
Nella session in questione, non immortalata da una registrazione certo impeccabile, il duo si lancia nell’esecuzione di ritmi incalzanti che però non trovano la sponda che ci sarebbe aspettata nel venezuelano, un po’ in ombra rispetto al pianista. Il sostegno maggiore è ben saldo nelle mani di Sosa che troppo indulge nell’ingenuo utilizzo dell’effetto eco applicato al pianoforte. Di trovate analoghe crediamo che un pianista del genere non abbia certo bisogno, dal momento che lo stesso è ampiamente capace di tener banco con la calibratissima percussività del suo tocco, abile nel mantenere senza sbavature un complesso disegno ritmico e di interporne variazioni capaci di disorientare spesso il povero Ovalles. Notevoli comunque le potenzialità, a fronte di una realizzazione che non gode della cura che prodotti analoghi hanno in Europa. Ma vedremo con le prossime produzioni, visto che il nostro si è trasferito dalle parti di Palma de Maiorca…
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