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“Il musical di Stephen Sondheim, Pacific Overtures, ripercorre gli eventi che seguirono quel giorno decisivo del diciannovesimo secolo in cui il Giappone fu risvegliato bruscamente dal suo letargo feudale, durato un quarto di millennio, da una drammatica irruzione di modernità. Era l’8 luglio 1853, quando il Commodore Matthew Calbraith Perry della marina degli Stati Uniti entrò nel porto di Uraga con i suoi battelli a vapore rivestiti d’acciaio e potentemente armati, i kurofune (navi nere).”
Inizia così il saggio di Peter Burt dedicato alla musica di Toru Takemitsu e se non si scorressero le prime pagine ci si potrebbe fin sorprendere di un approccio preso così “alla larga”. Presto invece tutto si riconduce al nucleo delle vicende che coinvolgono sia Takemitsu che l’intera musica giapponese dell’Otto-Novecento, epoca in cui la cultura e l’intera società nipponica subiscono in maniera traumatica alcune fortissime accelerazioni nella direzione di una modernità pre-globalizzata dopo secoli di medioevo feudale. Iniziare quindi un saggio su un musicista giapponese, scritto soprattutto per presentare un compositore il cui background è ancora poco noto in Occidente, contestualizzando un panorama storico per nulla scontato, sembra essere oggi l’unico approccio possibile anche per una musicologia troppo spesso attenta alle analisi formali e troppo poco ai contesti politici e sociali.
Modernizzazione e nostalgia per il passato, progressismo e nazionalismo esasperato sono stati per lungo tempo i temi di confronto, ma anche di aspra contesa, che hanno caratterizzato il Giappone dai tempi del commodoro Perry al Dopoguerra post-atomico, periodo in cui il giovane Takemitsu inizia a comporre ascoltando i networks delle forze di occupazione americane che propinavano canzonette popular, Gershwin e Debussy. Come viene saggiamente documentato nel lavoro di Burt è ipotizzabile che un’immediata repulsione nei confronti della tradizione giapponese da parte di Takemitsu, almeno in una fase iniziale, sia riconducibile all’associazione della musica giapponese alla cultura militarista che l’establishment aveva imposto, esattamente come in Italia e Germania. Una forte analogia nel considerare generi non autoctoni univa Germania nazista e Impero del Sol Levante, dove al tristemente noto termine Entartete Musik si sostituiva l’espressione Tekiseiongaku, per designare generi non in linea con l’estetica di regime.
È in questo humus culturale che cresce Takemitsu, che assume grandi dosi di musica occidentale sotto forma di Debussy, Messiaen, Franck, Fauré, riconosciuti tutti come modelli del compositore giapponese. Eppure con il passare del tempo non solo si ammorbidisce la sua posizione nei confronti della musica tradizionale, assimilata inconsciamente sottopelle (ad esempio attraverso l’utilizzo di strutture pentatoniche tipicamente tradizionali), ma anche approcciando le tendenze più legate all’avanguardia che in Europa sta ricostruendo la tabula rasa lasciata dalla guerra. In particolare l’interesse di Takemitsu si concentra sulla musica elettronica e sulla musica concreta, vissuta quest’ultima come vettore di associazioni descrittive, che guideranno il compositore direttamente alla maturazione di capacità spendibili con buoni esiti anche in campo cinematografico. Le esperienze nelle radio e con il gruppo Jikken Kobo individuano una storia ancora poco nota dalle nostre parti…
Ma per non togliere il piacere a chi si vuole accostare al libro con calma, vale qui soltanto la pena di ripercorrere le tappe della carriera di Takemitsu attraverso i dodici capitoli del lavoro di Burt: il Requiem, le avventure seriali, le esplorazioni timbriche, l’indeterminazione cageinana, modernismo/pentatonia/tonalità, un oceano senza Oriente e Occidente.
Esempi e brevi analisi melodico-armoniche, che smantellano qualche luogo comune e guidano con chiarezza al percorso (per alcuni involutivo) del grande autore nipponico, costellano il percorso cronologico del volume, corredato da un catalogo delle opere e da una bibliografia, ma gravemente mancante di una discografia ragionata. E chi meglio di Burt avrebbe potuto consigliare quali dischi di Takemitsu vale la pena acquistare?
marzo 2004 © altremusiche.it
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