Peter Gabriel: l’acqua e la luna

Michele Coralli

Due elementi, acqua e luna, a fare da cornice a quello che Gabriel immagina essere il suo orizzonte poietico per una raccolta di canzoni, dal titolo come al solito epigrammatico: Up. Lasciamo da parte le considerazioni estetiche o critiche, e soffermiamoci sugli aspetti “collaterali” che sostengono l’evento.
Di Gabriel non sorprendono le sue prese di posizione a favore di progetti che potrebbero essere delegati (ma non sempre lo sono) ad organizzazioni per la cooperazione, per il modo con cui uno dei musicisti più efficacemente impegnati riesce, in tutta sincerità, a sostenere progetti di reale utilità o a confezionare messaggi dal contenuto sempre anti-retorico – chi conosceva Stephen Biko quando Gabriel ne cantava la scomparsa e il regime nazista sudafricano ospitava le ricche popstar americane?
Collegare una serie di iniziative sociali e politiche a quello che ormai può considerarsi a tutti gli effetti un evento sociale e politico come l’uscita di un disco “rock”, è parte del messaggio, finalità dell’evento, politica nel marketing dello spettacolo. Attraverso delle canzoni, che, a loro volta, passano attraverso un più massiccio, magniloquente e disturbante strumento promozionale, si fa politica.

Anteprime lunari
Le anteprime per la presentazione dell’album che Gabriel ha impostato sul proprio sito seguono attentamente le fasi lunari.

“Per sapere quando sarà disponibile la prossima anteprima basterà guardare il cielo di notte.”

Ecco un’idea che, per quanto banale, ci sorprende. Stiamo talmente perdendo di vista le coordinate dell’universo che ci circonda, da non essere in grado di guardare la luna nelle sue fasi. Quella di Gabriel ha l’aria di essere un’opera di alfabetizzazione del mondo reale, in una realtà che sta anteponendo troppa tecnologia tra l’essere umano e ciò che lo circonda.

Foto: Michele Coralli

Incontro di civiltà
Peter Gabriel è uomo incline agli incontri tra le culture, alle commistioni, alla genesi di nuovi saperi come frutto dell’ibridazione delle conoscenze. Dedurre elementi, anche dalle culture che oggi molti vedono con diffidenza – come quella islamica di Nusrat Fateh Ali Khan, musulmano, a suo tempo, molto devoto – è una capacità che Gabriel sa mettere a frutto, senza per questo apparire un saccheggiatore, come moltissimi altri illustri colleghi, privi scrupoli. La musica è troppo necessaria per Gabriel (come per molti di noi), per essere trattata come una qualunque semenza transgenica. Allora se la cultura occidentale afferra con supponenza saperi estranei per edulcorarli e renderli merce (dal meccanismo non si sfugge), allora si possono fare percorsi inversi.

“Il progetto è quello di mandare il disco ad artisti in altri paesi del mondo perché ne possano elaborarne una propria versione. Stiamo cercando qualcuno che finanzi questa operazione e forse troveremo anche chi ne faccia anche un programma televisivo.”

Gabriel non ha paura dei mezzi di comunicazione, qualsiasi essi siano. L’importante è stimolare gli incontri su base orizzontale. Lui dice: io faccio così, e voi?

Il futuro dei dinosauri
L’industria discografica è in crisi. Non riesce a convertirsi, come un’antiquata centrale elettrica a carbone, che inquina, spreca, crea problemi di smaltimento, così queste strutture enormi, che producono tonnellate di merce non eco-compatibile, non riescono a trovare vie alternative. Nel migliore dei casi, Internet è ancora visto come un orpello promozionale, nel peggiore, come un ostile intralcio al profitto. Ma…

“La mia visione del futuro è quella di una musica diffusa attraverso Internet in modo estremamente facile e agevole, nelle stazioni, nei bar. Al momento credo che ci sia ancora una mancanza di filtri adeguati, o per lo meno, ci sono dei filtri che sono costituiti dalle persone stesse. Bisogna continuare su questa strada. Per il fruitore il problema è riuscire a filtrare quello che veramente gli interessa. In rete questo sarebbe possibile con tecnologie che selezionino quello che stiamo cercando in modo davvero efficace. Una cosa che mi ha colpito profondamente è sapere che, secondo una statistica, negli Stati Uniti, chi compra un disco lo ascolta mediamente due o tre volte. Io credo invece che ci siano dischi che ognuno ama riascoltare molte volte. C’è ancora qualcosa che ci lega all’oggetto concreto, al disco che possiamo conservare in casa tra le cose che ci stanno più a cuore.”

In altre parole occorre“elevare la qualità della propria esperienza, perché se entra spazzatura, esce spazzatura”.

Foto: Michele Coralli

Tecnologia e barriere
L’uso della tecnologia può liberare così come opprimere. Non si può demandare agli oggetti una moralità, che invece appartiene alla persone. Il computer, il fax, il telefono sono mezzi utili, ma non sono di per se stessi né buoni, né cattivi. Chi oggi li può utilizzare liberamente ha una grande quantità di vantaggi, ma chi non li possiede e lotta per mettere insieme un pezzo di pane non potrà mai ascoltare la musica di Peter Gabriel.

“C’è il rischio di una barriera tecnologica che aumenti il divario tra le popolazioni ricche e quelle povere. Ma, ad esempio, in India c’è una base tecnologica molto forte, che non solo risponde alle esigenze interne, ma che riesce anche ad esportare risorse. C’è un progetto a cui sto lavorando che prevede il riutilizzo dei computer, che da noi si scartano quando vengono aggiornati i sistemi, per poter essere riutilizzati da popolazioni che altrimenti non potrebbero permetterseli. Sono convinto che basti prendere una dozzina di computer e un insegnante, collocarli in una qualsiasi parte del mondo e nel giro di uno o due anni ottenere un gruppo di persone che li sappiano usare, come si fa quotidianamente dalle nostre parti. Ma la tecnologia da sola non può fornire delle risposte, compito affidato invece alla politica e alla gente, che deve fare della tecnologia una risorsa. Non dico che il computer sia l’ultimo ritrovato miracoloso della nostra storia, ma credo che in questo momento sia il metodo più efficace e più concreto per portare l’istruzione a molta gente, gratuitamente.”

Politica della globalizzazione, non c’è dubbio. Ma di globalizzazione dal volto umano.

settembre 2002 © altremusiche.it / Michele Coralli

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*