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L’esperienza dell’improvvisazione conduce spesso all’esplorazione di ambiti timbrici inconsueti, che sono il risultato dello sfruttamento pianificato di ogni parte sonora o risonante di uno strumento. Ciò vuol dire che – all’interno un’esecuzione musicale di tipo improvvisativo, nel senso ‘radicale’ del termine – vengono prese in considerazione, anche le parti strutturali che formano uno strumento, come le casse armoniche, che, in certe circostanze imposte dall’improvvisatore, vengono usate in maniera ‘non-ortodossa’ al posto di svolgere la loro funzione primaria. Così Peter Kowald ci dimostra che ci sono vari modi di suonare un contrabbasso: percuotendolo, grattandolo, sfregandolo, picchiettandolo, scordandolo, facendolo vibrare, cantandoci dentro, imprimendo una forza inconsueta per un’esecuzione ‘musicale’, sfiorandolo o semplicemente pizzicandolo (prima del ponte) o colpendolo con l’arco rovesciato o addirittura inserendo questo tra le corde e facendolo altalenare trasversalmente. Kowald ha infatti maturato, dopo anni di esperienze negli ambiti più avanzati dell’improvvisazione europea, una tecnica, che è l’esito felice di una continua ricerca delle possibilità timbriche dello strumento. L’artista tedesco, attivo fin dagli anni Sessanta, attraverso collaborazioni che lo hanno portato a lavorare, tra gli altri, con Peter Brötzmann, Alexander von Schlippenbach, Sainkho Namtchylak, Pierre Favre, ha anche partecipato al progetto Globe Unity e in ambito discografico ha pubblicato numerosi dischi con l’etichetta tedesca FMP.
L’improvvisazione che conduce Kowald ha il pregio della continuità e mette in connessione pattern diversi, legati tra loro da analogie timbriche. A volte la ‘frase’ è riconducibile ad una struttura di altezze: vengono utilizzate strutture semitonali molto chiuse in se stesse, quasi claustrofobiche, che vengono ripetute su varie tonalità. Lo stile tipico del contrabbassista esprime una grande energia che si ripercuote sulle corde dello strumento; tanta energia fa vibrare le corde anche più del dovuto, ma anche questo è un effetto timbrico ricercato.
Il Takla Wind Quartet, formazione che fa parte dell’associazione Takla Improvising Group (coordinamento di musicisti orientati all’improvvisazione che ha sede in provincia di Milano, tel. 02-95737607 oppure 031-782069), comprende Massimo Falascone, Alessandro Bosetti, Giancarlo Locatelli e Fabio Martini: i primi due ai sassofoni, i secondi ai clarinetti. La loro improvvisazione prevede un’alternanza tra le parti del gruppo, ma anche un’assoluta libertà da strutture che, a volte risulta un po’ ostica all’ascoltatore. L’ensemble si muove meglio con il valido supporto di Kowald che interviene nella parte finale dell’esibizione e che dona varietà timbrica e maggiore omogeneità alle esecuzioni.
In ambiti come questi senza dubbio importante diventa la scelta di un piccolo spazio, in cui l’improvvisazione diventa vera e propria musica da camera per un ristretto pubblico, maggiormente motivato e attento, oltre che direttamente coinvolto dalla vicinanza con gli strumenti e dall’osservazione dettagliata di come questi vengono utilizzati. L’improvvisazione, potremmo dire, è quel paradossale tipo di musica che vive nell’attimo della sua esecuzione: tanto più questa è ‘radicale’ – ma questo è un giudizio personale – tanto più è legata all’istante irripetibile dell’esecuzione poiché indissolubilmente connessa al gesto, più che alla forma.
da: “Auditorium reviews”, n.3, 1998 © altremusiche.it
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