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Forse Philip Glass a molti sembrerà ancora moderno, mentre ad altri la sua musica suonerà ormai logora. Certo sono passati già 34 anni dal momento del suo debutto avvenuto nel settembre 1968 a New York e nell’epoca presente anche un trentennio può diventare un’era geologica, perfino in un contesto come quello della musica contemporanea, in cui i lavori di un Alban Berg o di un Anton Webern vengono quasi recepiti come innovazioni recenti, ancora da digerire completamente. Qui siamo in un contesto assai distante, anche se non in senso strettamente cronologico. Ripensando al debutto del compositore americano, l’ensemble romano Alter Ego ha riproposto qui il primo Glass, quello più minimalista e concettuale, quello delle strutture ritmiche, armoniche e melodiche ripetitive, quello dei brani dilatati in senso orizzontale mediante processo di costante accumulazione. In un’assoluta simmetria Music in Similar Motion (1968) e Music in Contrary Motion (1969), entrambi per ensemble strumentale, incorniciano Strung out (1967) per violino amplificato e Gradus (1968) per clarinetto basso, che, a loro volta racchiudono Piece in the Shape of a Square (ridotto in questo caso per due flauti rispetto all’originale del ’68 per ensemble), ispirato ai celebri Trois morceaux en forme de poire di Erik Satie. L’idea di riprodurre a Roma, presso la Galleria Opera Paese, il programma del concerto che Glass fece al Film Makers Cinemateque rimarca una certa fascinazione per il gusto neoclassico che vive dentro il revival, in attesa di nuove rivoluzioni.
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