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Mettere in contatto generi per creare nuovi amalgami è prassi in auge da sempre. Accostare Bach al jazz per rivestire di swing certo rigore contrappuntistico poi sembra addirittura essere diventato un vero e proprio filone musicale. Da Oscar Peterson a John Lewis, da Jacques Lussier a Uri Caine, gli esempio illustri non mancano.
Mantenere però immutata la pagina bachiana per avvolgervi attorno una “terza” voce dal carattere improvvisativo (e jazzistico) è forse il passo che ancora mancava, nonché focus del progetto di Ramin Barhami e Danilo Rea contenuto da “Bach is in the Air” (Decca 2017). Dalle loro parole tutti gli ingredienti di questa ricetta.
Il vostro è un connubio che sta andando avanti da diverso tempo. Che significato ha Bach per ciascuno di voi? Immagino due punti di vista diversi, ma complementari.
Barhami: «Per ma Bach è il compositore più grande di tutti i tempi, padre di tutta la musica: quella orientale e quella occidentale. Un filosofo, non solo della musica, ma anche della vita. Un autore profondo che ha viaggiato con il pensiero in tutte le nazioni del mondo senza mai essere stato fuori dalla Germania. Lui è la reincarnazione in musica del divino, della perfezione. Penso che anche Danilo convenga su questo. È stato molto facile trovare una coesione su questi intenti. Il nostro lavoro non vuole tradire il messaggio bachiano, ma, al contrario, ne è estremamente rispettoso. Semmai vorrebbe aprirlo a un pubblico più allargato. O, se si vuole, a un pubblico non abituato a sentire con le orecchie del musicista classico. La musica rimane intatta, perché abbiamo la fortuna di avere un monumento nazionale e internazionale come Danilo Rea, che ha un orecchio attento, sa fraseggiare, ha uno dei suoni jazz più belli in assoluto tra quelli che io ho incontrato. È stato estremamente semplice permettere che le sue geniali trovate improvvisative potessero abbracciare i contrappunti e gli intrecci bachiani. È un fatto estremamente coraggioso. Ma ci siamo posti fin dal primo istante lo scopo di rimanere fedeli a Bach. E questo è stato fatto».
Rea: «Ramin mi ha fatto capire come interpretare l’opera del grande maestro. Il mio approccio a Bach durante il periodo dei miei studi classici è sempre stato difficile. Non è un compositore facile, bensì così enorme da mettere in difficoltà molti studenti. La semplicità con cui Barhami me lo ha spiegato, mi ha aperto nuove possibilità, facendomi capire ancora di più la grandezza di questo compositore. Interagire con lui è stato facile nel momento stesso in cui tutto è stato chiaro e la grandezza e l’emozione sono arrivate».
Bach è un autore che si presta molto alla reinterpretazione jazzistica, basti pensare alle Variazioni Goldberg di Jacques Lussier e di tanti altri. Molti jazzisti apprezzano Bach proprio perché in lui sentono quasi una forma di swing.
Rea: «Ne parlavano insieme, io e Barhami, tempo fa. Ritmicamente c’è questa pulsazione ritmica che è incalzante, che non molla mai e che è tipica del ritmo del jazz. E già questo è un punto di raccordo tra i due mondi. In realtà Bach è stato affrontato dai jazzisti proprio per la sua grandezza e tutti loro hanno sempre avuto un grandissimo rispetto per questo musicista. L’unica vera differenza del nostro approccio è stato quello di un grande rispetto nei confronti della sua musica. Non abbiamo praticamente toccato ciò che Bach aveva scritto. Semmai lo abbiamo interpretato e sopra la magnificenza della partitura abbiamo aggiunto delle note di improvvisazione – ovviamente con discrezione, per non rovinare ciò che di perfetto e di compiuto aveva già scritto. Il mix quindi è particolare. Abbiamo fatto qualcosa che probabilmente non è mai stato fatto. Ed è per questo che siamo molto contenti di aver messo su un cd tutto questo lavoro. Dopo tanti concerti e dopo aver maturato un modo di interagire – anche se ci siamo trovati istantaneamente d’accordo su tutto – abbiamo deciso di incidere il disco come testimonianza di un’idea che, probabilmente, sarà la prima di tante altre».
Barhami: «La riprova del fatto che questa è stata un’operazione molto spontanea è stata gioia per Schwung termine tedesco che dà origine a Swing), un elemento molto caro al maestro Chailly con cui ho avuto la grande fortuna di incidere tutti i concerti di Bach assieme all’orchestra più antica del mondo, cioè la Leipzig Gewandhaus. La riprova è stata che la stessa gioia ritmica di questa operazione con Danilo Rea l’ho provata con Riccardo Chailly e Yuri Bashmet, due colossi dell’interpretazione classica che credono fortissimamente nell’importanza del jazz e del ritmo. Riccardo Chailly, prima di essere quello che conosciamo, da giovane suonava la batteria in un complesso jazz. E Bashmet improvvisa soventemente al pianoforte le canzoni del Beatles, pur essendo il più grande violista del mondo. Questo ci dimostra che la grande musica non ha chiusure né barriere, ma sia Musica con la M maiuscola. Queste aperture sono più che necessarie oggi, perché altrimenti con gli accademismi inutili si fa del male alla musica e alla sua diffusione. Come diceva il maestro Rea, noi non abbiamo tolto alcuna nota a Bach. Semmai abbiamo cercato di far rispecchiare nuove vesti, magari vicine a quelli che non hanno studiato trattati di armonia e contrappunto. Questa musica è universale è deve arrivare a chiunque».
Il vostro percorso rimarrà quindi su Bach o si sposterà anche altrove?
Barhami: «Io, per scherzo, ho detto che speravo che questo progetto diventi come Twin Peaks: Bach is in the air 1, 2, 3, 4… finché non ci stanchiamo per poi passare anche ad altri autori. È una cosa che durerà nel tempo mi auguro».
Rea: «Sì e dopo aver esaurito tutti i compositori della musica classica passeremo a quelli del jazz da Bill Evans a Miles Davis e Coltrane, rifacendoli in chiave contrappuntistica [ride]».
[intervista trasmessa da Radio Popolare – Rotoclassica 2017]
maggio 2017 © altremusiche.it
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