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Quello che è successo in questi ultimi mesi [primavera 2003, NdR] è qualcosa che molti di noi hanno letto come una tragedia che segna un momento cruciale della nostra storia. Una tragedia i cui effetti hanno coinvolto nell’immediato singole persone, famiglie e intere società, ma una tragedia che molto probabilmente marcherà in modo indelebile il nostro modo di vivere e di pensare. Gli avvenimenti sono talmente sconvolgenti da non poter essere ignorati, o, in maniera pavida e opportunistica, delegata ai commentatori di settore. L’idea che ci stimola, forse utopistica, è che la cultura possa dare un prezioso contributo alla comprensione di quello che è successo, per poter dire una volta per tutte: mai più in futuro. (Michele Coralli)
Sono davvero in imbarazzo e profondamente angosciata per colpa di questa guerra, che è un insulto all’intelligenza umana. La mia risposta è: cultura di pace e impegno in prima persona. I dischi e le performance “all’interno della gabbia dorata” non influiscono su nulla. Rendiamoci conto che molti dormono e si sentono a proprio agio così come stanno le cose. Spero che possa servire invece una cultura capace di superare i confini, così come impegnarsi in prima persona nell’aiuto di chi soffre.
Meira Asher (Israele)
La guerra è la peggiore condizione in cui può venirsi a trovare un essere umano e, peggio ancora, per causa altrui. Le guerre coinvolgono anche chi non ha nessuna colpa e chi non le vuole, come il sottoscritto: io ne ho viste tante, dal ’15-’18 a quella di quel maledetto schifoso che si chiamava Hitler, che ha rovinato tutti quanti, e non posso certo dirne bene.
Odio la guerra in tutte le sue manifestazioni: non serve a niente, ma solo a fare dei danni. Data la mia non più giovane età, posso assicurare che, quando scoppia una guerra, è un vero e proprio disastro per tutti.
Un certo tipo di musica può fare qualche cosa, non molto in verità, perché, quando l’uomo è imbufalito e ha voglia di combattere, non c’è musica che tenga. La musica è una gentilezza d’animo, quando è musica sul serio, ma c’è anche un tipo di musica violenta, che io considero, salvo qualche eccezione, rumore organizzato. Una canzonetta pseudo-impegnata, oltre alle proteste e i contenuti verbali che possono venir fuori da brutti versi, credo che serva a ben poco. Serve tutt’al più a esaltare un certo tipo di gioventù che si lascia soggiogare perché non ha molto da dire. Una gioventù che si basa molto su quello che sente dire dagli altri. Questa musica non credo che possa servire. Invece la musica vera, quella dei Beethoven, dei Bach, dei Mozart, dei Brahms e anche quella contemporanea, può essere molto utile per alleviare l’animo in questi momenti. Può essere efficace allora immergersi nelle musica e trarne tutti i benefici morali che questa può offrire.
Bruno Bettinelli (Italia)
In una delle sue ultime raccolte poetiche Pier Paolo Pasolini ha scritto: “Ho paura della libertà che mi verrebbe dal tacere”. Come sempre aveva ragione, e probabilmente gli causerebbe un gran dolore vedere come molti artisti si nascondano invece dietro un silenzio di comodo, senza prendere posizione su questa vergognosa guerra. Certo, il pubblico della musica “colta” (?) non vuole grane, preferisce ascoltare Mozart con gli occhi chiusi e sognare sulle ali dei grandi classici piuttosto che confrontarsi con la realtà. Non è così: tutti gli artisti hanno il dovere di gridare lo schifo che questa guerra, come ogni guerra del resto, porta dentro di sé. Devono farlo anche di fronte all’arroganza di una Destra che spopola apparentemente senza limiti, e di fronte a una Sinistra anemica e inconcludente. Credo che le parole di Pasolini siano le migliori anche per concludere questo breve intervento: “Ci hanno deluso tutti, chi ha torto e chi ha ragione. Tuttavia siamo con chi ha ragione, ma senza illuderci.”
Carlo Boccadoro (Italia)
Ci sono state diverse reazioni nei confronti della guerra. La prima che mi viene in mente è il rifiuto, da parte di diversi artisti, di suonare in Israele in seguito all’invasione dei territori palestinesi. Di pari passo quando c’è stata la guerra in Iraq si doveva in qualche modo dimostrare, ma non c’è stato alcun rifiuto, né nei confronti degli Stati Uniti, né di quei paesi che hanno partecipato alla guerra, come Spagna, Inghilterra e Polonia. Da questo punto di vista si è visto ben poco e questo è un indicatore chiaro di dove sia il nocciolo della questione dell’essere veramente pro o contro la guerra. Quando si toccano altri Stati rispetto a Israele il coinvolgimento non è così sentito. Molti musicisti hanno però reagito rispetto a quello che potevano fare: con la dedica o la dichiarazione. Per quanto mi riguarda io ho in programma un pezzo di Dallapiccola che è stato scritto durante la Seconda Guerra Mondiale e si propone come un netto rifiuto della guerra: la Ciaccona, Intermezzo e Adagio per violoncello solo. E’ la sua dichiarazione contro il fascismo che in un primo tempo lo aveva coinvolto, spingendolo quasi ad aderire. Il secondo movimento rappresenta la militarizzazione dell’Italia di quel periodo e il terzo la desolazione, il disastro e il vuoto della guerra. Quando ho portato in giro questa composizione durante i giorni della guerra in Iraq, ho sempre anche parlato con il pubblico, premettendo il mio disagio nell’essere sul palco in quel momento.
Dichiaravo anche che la musica, ma tutta l’arte in genere, guarda sempre molto avanti. Il messaggio di Dallapiccola era molto indicativo in questo senso. Con la musica credo che si possa arrivare all’anima degli ascoltatori anche con questi argomenti. In altre parole penso che, valutando bene la situazione, sia meglio esprimere il proprio disagio attraverso l’arte che si sta rappresentando.
Mario Brunello (Italia)
Sono contro la guerra e contro Bush. Molti americani, ma anche molti newyorkesi, hanno avuto la sensazione che dopo l’11 settembre il nostro paese abbia preso una rotta con cui molti di noi non sono d’accordo. Spero che questo possa cambiare. Cosa possa fare l’arte contro la guerra è una bella questione. L’arte esprime in modo effettivo le opinioni delle persone: essa diventa un’espressione del modo in cui le persone hanno delle sensazioni. Ma è anche un simbolo di come persone di differenti culture possano trovarsi insieme e comunicare, invece di combattere. Attraverso l’arte si può comunicare senza alcun tipo di aggressività e di arroganza. E’ un buon modello. Se poi sia o meno in grado di fermare la guerra questo proprio non lo so, mi piacerebbe pensarlo.
Uri Caine (Stati Uniti)
Un respiro di sollievo. Solo qualche migliaio di morti, la distruzione di qualche migliaia di vite e di famiglie, qualche migliaia di ferite inferte alle quotidiane pratiche e culture di un popolo lontano. E dovremmo anche provare un respiro di sollievo, ce lo ordina il potere. Per quello che mi riguarda riesco solo a pensare che la guerra è appena infinita. E non riesco a respirare, altro che sollievo.
Filippo Del Corno (Italia)
Voglio rispondere come uomo. La guerra è un orrore, che dimostra la grande stupidità di cui l’uomo è capace. Sembra facile dirlo, ma non è così: l’uomo è capace di grandi gesti geniali, ma anche di grandi stupidità. Certe volte le guerre sembrano inevitabili, ma la cosa che mi preoccupa maggiormente rispetto a quello che succede oggi è il timore che questa guerra non sia, o non voglia essere, un avvenimento episodico come un intervento chirurgico, ma, al contrario, sia il sintomo dell’instaurazione di un nuovo stato di cose, in cui viene determinata una condizione di guerra permanente.
Ivan Fedele (Italia) (leggi intervista)
E’ una guerra infame, una guerra di occupazione e di distruzione, che apre un periodo storico catastrofico, con conseguenze imprevedibili e inimmaginabili. Non trovo parole per condannare questa operazione totalmente illegale fatta dal grande Impero. Si capisce che le parole in questi casi non sono determinanti. D’altra parte se si riuscisse a creare un movimento di enorme estensione che coinvolgesse decine di migliaia di intellettuali, che sottoscrivono delle posizioni, che fanno circolare idee e le sottopongono ai governanti, allora questa sarebbe un’aggiunta alle proteste e alle manifestazioni di massa a cui assistiamo ormai da mesi. Queste ultime, a loro volta, non possono non lasciare un segno: anche nella stessa Italia berlusconiana e pro-Bush si sono viste delle marce indietro da parte del Governo, quando ha visto che la grande maggioranza della popolazione era contraria la guerra. Sono cose che servirebbero, se si riuscisse a farle su larga scala: non mi riferisco agli appelli di venti persone, che purtroppo pesano poco. Certo non basterebbero a fermare la guerra, ma dimostrerebbero che nel mondo la maggioranza delle persone, che lavorano in questi settori, condannano questa tragedia. Ad esempio so che Pollini a Roma, durante il progetto che lo riguarda, ha preparato un volantino che ha fatto distribuire la sera del primo concerto. Mi sembra un buon punto di partenza…
Giacomo Manzoni (Italia)
Mi sono trovato in totale disaccordo quando Blair ha deciso di appoggiare Bush. Non c’è stato un reale supporto da parte del popolo britannico in questa iniziativa, ma, al contrario, la più grande opposizione mai registrata contro la guerra. Gli sforzi di manipolare le Nazioni Unite e la decisione di ignorarle non dovrebbe essere dimenticata, anche se il loro ruolo sembrerebbe poter essere semplicemente quello di supporto al popolo iracheno. Per quanto mi riguarda purtroppo non saprei proprio come far sviluppare una cultura di pace.
Evan Parker (Gran Bretagna)
Il problema non è tanto la guerra, che è una realtà antichissima, ma il fatto che questa sia diventata uno spettacolo. L’arte vive in tempo di pace e senza la pace l’arte non esiste, viene vanificata. Ma ci sono situazioni che sono simili a una guerra e mi riferisco all’economia basata solamente sul profitto e non sulla programmazione di una nuova società.
Salvatore Sciarrino (Italia) (leggi intervista)
Il tempo libero che fortunatamente non mi manca mi consente di avere un aggiornamento continuo sugli avvenimenti, sia a livello di informazione (?) mediatica, che a livello di discussione con molte persone. Sono arrivato (per ora) a questa conclusione: di “bla bla” se ne fa veramente un sacco, e nessuno, dico nessuno (me compreso) ne sa qualcosa: tutti i discorsi sono frutto di illazioni, supposizioni, prese di posizione personali e spesso piuttosto manichee. Chi ne sa, per ora ci tiene all’oscuro. Ho scoperto che molti di noi (ancora, me compreso) si scoprono spaccati in due da un’inquietante presa di coscienza: da una parte la speranza che la guerra finisca il più presto possibile, e dall’altra che l’arroganza dei potenti venga in qualche modo punita, con la conseguente dolorosa soddisfazione che si fa strada nel momento in cui gli alleati anglo-americani trovano una resistenza “inaspettata”. Cerchiamo di non cadere nelle chiacchere “da bar”, virus più pericoloso della polmonite atipica. Per rispetto ai caduti di quest’altro disastro dell’umanità propongo una pausa di 4/4 con corona. Ad libitum.
Giovanni Venosta (Italia)
aprile-maggio 2003 © altremusiche.it / Michele Coralli
in collaborazione con Amadeusonline
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