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“Oggi la mia musica ha chiarito le sue strutture formali e si è spogliata, usa pochi mezzi. Ha però acquistato intensità”. Così Salvatore Sciarrino sintetizza il proprio ultimo approdo estetico, molto sensibile al processo di alleggerimento delle sovrastrutture inessenziali, a vantaggio di una più marcata espressività, e, in un certo qual modo, anche di una maggiore capacità comunicativa (divenendo “musica ecologica”, come dice lui stesso). Luci mie traditrici, opera in due atti, esalta questo processo di prosciugamento, pur vivendo in un intenso rapporto con quel mondo musicale e letterario barocco, che è stato ciò che di più ipertrofico e pletorico abbia prodotto l’arte occidentale. Sciarrino, che qui riprende il dramma teatrale di Giacinto Andrea Cicognini Il tradimento per l’onore, sfronda però la trama per darne uno scarnificato insieme di scene in cui amore, tradimento e vendetta vengono incasellati in un quadro atemporale, di pura finzione poetica, dove il “delitto d’onore” è lo stimolo per un gioco di prospettive musicali e letterarie. Un prologo, tre intermezzi (che progressivamente perdono pienezza fino a assumere una pura dimensione armonica) e otto scene non culminano nel finale del delitto (come sarebbe nel più classico dei melodrammi), bensì vivono in se stessi, legandosi tra loro in modo geometrico, come nel più inaspettato illusionismo prospettico. Dimensione portata all’esagerazione nel Prologo iniziale, che dovendo suonare come un “dietro alle quinte”, sembra (ahimè, limiti del supporto) registrato dal camerino del soprano.
da «Amadeus» n171, febbraio 2004 © Paragon / Michele Coralli
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