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Un cofanetto che raccoglie composizioni di Sciarrino scritte tra il 1974 e il 2005, che forniscono uno spaccato molto significativo della musica orchestrale del compositore siciliano.
Le Variazioni per violoncello e orchestra, messe su carta all’età di 27 anni, manifestano quella volontà di gettare un ponte verso quelle avanguardie storiche che hanno dato un forte impulso alla realtà musicale dal Dopoguerra in poi, pur nella proposta di uno stile originale che diventerà nel corso degli anni caratteristica peculiare dell’autore. Il lavoro sul suono, la sua scomposizione nell’universo armonico anticipa nelle Variazioni (qui con un raffinato Francesco Dillon) il linguaggio totalizzante dei Capricci per violino di due anni successivi.
Al violino, e alle sue rarefazioni armoniche e ai tratti puntillistici guarda Allegoria della notte (1985, solista Marco Rogliano), venato da un citazionismo, o meglio dire da un gioco stilistico (poi portato all’apoteosi in composizioni come Efebo con radio) che svela quasi l’ansia da parte di Sciarrino di sentirsi “classico” nella combinazione di sfarzi orchestrali orientati al mondo barocco (coda e incipit).
All’omaggio al passato si iscrive anche la Morte di Borromini (1988), rappresentazione dell’ultima notte del celebre architetto nel momento del proprio suicidio, che qui viene evocato in una lettera-testamento dai contorni drammatici, resa da una quasi distaccata voce di Moni Ovadia che fa da contrappunto a una rarefatta fraseologia di una tromba, caravaggesca nel suo chiaroscuro: la notte, le candele, i rintocchi di qualche campana lontana. Risalta in modo evidente l’intento descrittivo da parte di un autore che ha sempre parlato più per suoni che per immagini, attraverso un quadro iconografico e narrativo molto vivo. L’ascolto, in un sovrapporsi di immagini legate alla storia dell’arte, può rivelarsi esperienza suggestiva, quando supportata dalla corretta predisposizione.
Con Recitativo oscuro (1999) ci trasferiamo dalle parti del pianoforte (qui Daniele Pollini) a cui Sciarrino ha dedicato molta attenzione, sebbene poi nei repertori pianistici contemporanei siano altri gli autori più frequentati. Suoni taglienti – ma non nella devastazione dei Klavierstücke stockhauseniani – vengono giustapposti a profondi e oscuri ostinati ritmici contrappuntati da voci sinistre. Mostri o fantasmi che siano, non si può far a meno di recuperare alla memoria quelle voci disperse e sotterranee delle opere più umanizzate di Nono.
Tra le composizioni più recenti si segnalano Il suono e il tacere (2004) e Shadow of sound (2005), partiture nelle quali più forte e “rumoroso” si fa l’emergere del silenzio come provocatorio contraltare al mondo dei suoni, qui scelti nella loro natura più elementare. Nel primo caso un motivo di 3 + 3 note, che si apre e si chiude ad intermittenza, viene adagiato a turno sulle diverse famiglie di archi, prima di spegnersi avvitandosi su se stesso: un esempio quindi di estrema limitazione di materiali. Nel secondo caso la procedura sembra scolorire la precedente, quasi come se si procedesse a colpi di gomma da disegno per cancellare motivi o fraseologie e commentare il vuoto con suoni lividi e rarefatti. Una poetica, quella della sottrazione, che ebbe anche in compositori come Berio uno dei suoi più strenui sostenitori, in chiara controtendenza rispetto alla tendenza cementificatoria di gran parte della musica di oggi.
2009 © altremusiche.it
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