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Sono tra i migliori interpreti del nuovo suono globalizzato: spavaldi nell’uso dell’elettronica, stratificati nell’affastellamento ritmico, decisi nel tratto melodico, creativi nel cut-up formale. São Paulo Underground sono una delle realtà più interessanti di questi anni. La loro musica è frutto di contaminazioni orizzontali che toccano con assoluta disinvoltura jazz, improvvisazione, musica elettronica, techno e IDM. Ciò che ne esce è un suono orgogliosamente situato in un terreno in cui convivono avanguardia, sperimentazione e leggerezza brasiliana.
In “Três Cabeças Loucuras” il trio sudamericano formato da Mauricio Takara (percussioni, cavaquinho, elettronica), Guilherme Granado (tastiere, elettronica, campionatori) e Richard Ribeiro (batteria) incontra uno dei più importanti animatori della scena avant-jazz nordamericana Bob Mazurek (cornetta ed elettronica).
Ne escono otto brani costruiti sull’idea tematica del cut & paste. Una cellula generatrice, che contiene in sé una fortissima connotazione ritmica ma al tempo stesso anche melodica, funziona come elemento da cui si sviluppa una musica ricca di elementi coloristici e non estranea al cospicuo patrimonio armonico brasiliano. I pochi elementi taglienti – per lo più demandati all’elettronica e alla tromba di Mazurek – vengono così molto spesso diluiti in una salsa tropicale che ne smussa completamente i risvolti più affilati, senza però impoverirla, anzi…
In brani come Pingeon il pattern ripetitivo di un organo distorto richiama alla mente timbriche rese celebri in passato da tal Mike Ratledge, non estraneo nemmeno a Carambola, dove il passo più saltellante apre il sound a una sorta di avant-samba acida e contorta che si perde in una forma aperta dal sapore psichedelico. E se Just Loving mette in tremolo uno dei blues più deterritorializzati mai ascoltati fin qui, è con brani come come Lado Leste che si compie in pieno la fusione tribalistica tra splendide strutture poliritmiche e modernità timbriche ricche di saturazione. Più che al Davis della svolta elettrica viene da guardare all’afro-beat di Fela Kuti e al suo grandissimo rilancio della musica africana doc, quella troppo a lungo saccheggiata anche dal jazz americano. Sul finale Rio Negro una delle migliori esibizioni in solo di Mazurek, che può davvero mettere in mostra tutte le sue qualità su un pattern molto duttile e stratificato.
“Três Cabeças Loucuras” è quindi un lavoro denso e immaginifico, che lascia ben sperare circa le prospettive del futuro, quello però che non ha paura del presente, ricorrendo ad ogni piè sospinto alla mitologia del passato che qui è ben lontano all’orizzonte.
2012 © altremusiche.it
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