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Una delicatezza quasi femminea percorre i righi delle composizioni scelte da Sentieri Selvaggi per la loro prima uscita discografica, “La formula del fiore” (Sensible records). Il gruppo, nato da un’idea di Angelo Miotto, Filippo Del Corno e Carlo Boccadoro, sta diventando sempre più un punto di riferimento per tutti coloro che apprezzano quell’area della musica contemporanea ormai difficilmente abbottonabile in un unico vestito. Definizioni enciclopediche come minimalismo o tonalismo, con tutti i suffissi del caso (pre, post, neo, tardo, ecc.) servono più come punti cospicui all’orientamento che come poli specifici di influenza. Se il presente non consente la dovuta distanza e non determina la necessaria scrematura degli eventi artisti superflui di questa seconda metà del secolo, allora lasciamo ai posteri un possibile riordino di tutte quelle correnti musicali che si sono mosse in ambiti fortemente ibridi e contaminati.
Prendiamo Ludovico Einaudi e il suo The apple tree, che apre il disco il questione. Il brano mette in evidenza un ritornello, che ricalca inconfondibilmente l’incipit di una famosissima canzone rock degli anni Settanta, aggregando intorno ad esso episodi strofici ritmicamente basati su continui ostinati. C’è aria di malinconia, la voglia di abbandonarsi, lasciando scorrere dieci minuti di musica leggera ma colta, o colta ma leggera.
John Africa di Giovanni Sollima svela un interesse da parte del compositore e violoncellista palermitano nei confronti della percussività, dell’impasto poliritmico, sottoposto però a forti regolarizzazioni. Mentre più sfuggente, irregolare, quindi più ricco, il procedere per nulla contemplativo di La formula del fiore di Carlo Galante, brano in cui l’attenzione per la forma trova dimensioni in continua dialettica. Ecco il segno di Filippo Del Corno, il cui testo riprende una poesia di Eugenio Montale, sfrutta l’uniformità di un’atmosfera e la sua fissità ritmica come mezzo espressivo: metrica, timbri e dinamiche creano l’ambiente per una malinconica introspezione.
Attesa per qualcosa che arriva senza quasi che ce ne accorgiamo in Ae fond kiss di Carlo Boccadoro, ispirato da una melodia popolare scozzese. Il compositore marchigiano ha ben chiara la lezione di Giya Kancheli nell’uso espressivo delle contrapposizioni tra silenzio e tutti orchestrali. Le armonie creano opposizioni tra momenti a carattere quasi pastorale, tonaleggianti, e momenti più taglienti che si contraddistinguono per il forte uso di dissonanze messe in evidenza dalla metrica e dall’incremento del volume dei suoni.
da: “il Giornale della Musica”, n.149, 1999 © il Giornale della Musica-Edt / Michele Coralli
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