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Il Cage rumorista e sperimentale, quello iconoclasta e irriverente, quello divertito e anarcoide viene riproposto in una delle serate organizzate da Sentieri Selvaggi all’interno della rassegna dedicata agli “Amici americani”, ovvero a tutti quei compositori (da Philip Glass a Steve Reich, da Charles Ives a Morton Feldman, per giungere a John Cage, che viene significativamente posto al centro di un’ipotetica scuola di pensiero compositivo) che hanno rappresentato – e rappresentano tuttora – un punto di riferimento per tutta la giovane musica contemporanea europea.
L’iniziativa vuole proporsi come un ponte ideale tra un vecchio continente più ‘accademico’ e un nuovo più ‘disinibito’. Vengono proposte esecuzioni, delle quali si occupano volta per volta i musicisti dell’ensemble di Sentieri Selvaggi (diretti da Carlo Boccadoro), sia di compositori già affermati, conosciuti anche al di fuori della torre eburnea della musica di oggi, che di personaggi come Ron Ford, Michael Gordon , Lou Harrison, Michael Daugherty, Louis Andriessen e di alcuni connazionali come Ludovico Einaudi, Giovanni Sollima e Filippo Del Corno (che, assieme ad Angelo Miotto e lo stesso Boccadoro, è uno dei coordinatori del progetto).
La serata più interessante delle quattro in programma ci è subito parsa la seconda, intitolata Le stanze del gioco e della musica e interamente dedicata a John Cage. I brani in programma sono stati nell’ordine: Living room music, Aria, Suite for toy piano e Four walls. Il primo è uno brano del 1940, costruito su diverse sequenze ritmiche e voci semi-recitanti, che interpretato da quattro percussionisti che utilizzano materiali poveri; dice la partitura che si possono scegliere ‘strumenti’ a scelta tra quanti reperibili nel soggiorno di un normale appartamento: libri, giornali, mobili, muri, finestre, porte o altro. La portata umoristica di un’esecuzione di questo genere supera qualsiasi voglia di provocazione e diventa un mezzo che porta verso una riappropriazione della materialità del rumore, ma questa riappropriazione non è scevra di una leggerezza che ci muove alla risata, che non è irrisione, ma divertimento. La stessa cosa si può dire di Aria del 1958, scritto in occasione del soggiorno italiano di Cage (che anche vide la sua partecipazione a “Lascia o Raddoppia”, in qualità di esperto di funghi) per la voce non accompagnata di Cathy Berberian. In questo pezzo viene lasciata all’interprete un’ampia libertà di improvvisazione, indicata da una partitura che non prevede né altezze, né ritmi prestabiliti. Suite for toy piano è uno degli ‘scherzi musicali’ più riusciti del compositore di Los Angeles: viene costruita una suite barocca che viene suonata su un pianofortino di quelli per bambini.
Inutile dire che l’effetto che scaturisce dal vedere un esecutore sul palco che maneggia un piccolo oggetto da cui proviene una flebile linea musicale che ricorda la melodia di una danza. Boccadoro, gioca divertito sul pianino, mantenendo la dovuta sacralità del recital pianistico con tutte quelle posture e quelle espressioni del volto del pianista serio (che dovrebbero far ridere anche quando viene eseguito Beethoven). Chiude la serata un Cage più serio: quello di Four Walls (Dance Drama con interludio vocale) del 1944. Si tratta di un brano composto per pianoforte, con altezze, melodie, ritmi ‘scritti’, anche se rimane come particolarità quella dell’utilizzo dei soli tasti bianchi della tastiera. La notevole lunghezza del brano porta inevitabilmente a dei cali di tensione; ma, nel complesso, rimane una delle cose più belle delle opere pianistiche di Cage, soprattutto nella ripetizione di pattern ritmici che vengono spesso separati da ampie sezioni di silenzio, uno dei parametri musicali, la cui riscoperta o riappropriazione viene riconosciuta proprio al compositore scomparso sei anni fa.
“Auditorium reviews”, n.3, 1998 © altremusiche.it
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