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Di fronte a tanta precisione e a tanta esattezza si può rimanere di stucco, ma del resto queste sono le condizioni essenziali per proporre un jazz colto, ma tutto sommato ancora fedele alla convenzione tra bebop e jazz modale. Queste sono le premesse di questo “On The Rising Of The 64 Paths” di Steve Coleman e i suoi Five Elements, che sembra ormai aver preferito muoversi sul versante produttivo europeo, soprattutto se garantito da un’etichetta di qualità come Label Bleu.
Per avere qualche delucidazione sul personaggio Coleman e sulla sua filosofia sarà meglio dare un’occhiata al suo sito, in cui tra l’altro sono disponibili una buona parte dei suoi pezzi scaricabili liberamente online (in netta controtendenza rispetto ai mercanti delle lobby discografiche che vorrebbero mettere codici a barre su tutto). Qui, oltre al suo sax soprano, possiamo apprezzare un elemento “diverso” come Malik Mezzadri, che con il suo flauto (e voce dal timbro particolare) contribuisce alla destabilizzazione della costruzione bebop (a tratti troppo fedele ai vecchi modelli). Eppure la coppia, così formata, evoca la ben più celebre Coltrane/Dolphy, per l’equilibrio tra determinazione dei percorsi e lo scarto improvviso per la definizione di nuove strade. Ne è un valido esempio il brano Call For Transformation, dove la struttura lascia più spazio alle improvvisazioni e alla libertà di interagire dei due.
Qualche buona parola va spesa anche per il batterista Sean Rickman, sempre sulla battuta senza mai diventare quadrato, deciso e potente, senza mai essere un martello pneumatico. Gli altri tre componenti (Jonathan Finlayson, Anthony Tidd e Reggie Washington) si tengono ben saldi sulle loro posizioni di ottimi gregari, probabilmente fieri di far parte di una delle migliori formazioni jazz che ci siano attualmente in circolazione.
2004 © altremusiche.it
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