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Alcune considerazioni attorno allo stato della cultura musicale nel nostro paese, dando un’occhiata ai cartelloni di molte rassegne musicali organizzate da queste parti. Sebbene non sia così interessante leggere il lamento di turno, nel momento in cui si chiede ottimismo e si soffre il dissenso, ci sembra sensato spendere qualche parola sul dissennato atteggiamento di insofferenza nei confronti della cultura che da anni sta progressivamente crescendo in Italia. Come spesso succede in questo paese, non si abbracciano delle vere e proprie campagne di sradicamento delle realtà culturali esistenti, ma le si lasciano morire a poco a poco, affiancando all’agonia strategie di comunicazione volte a dimostrare che ci sono ambiti in cui lo Stato interviene significativamente, ma che producono solamente sprechi e che viceversa non generano né profitti, né ritorni di immagine.
Ce la si prende con luoghi culturali molto dispendiosi (spesso troppo come enti lirici e cinema), ma finiscono per ricadere sotto la scure anche ambiti legati alla sperimentazione, all’esplorazione dei linguaggi di oggi, allo studio e alla divulgazione della contemporaneità.
Qui non si vuole difendere le consorterie che sono cresciute come funghi nel sottobosco del FUS, bensì l’idea di una nazione moderna che, per dirsi tale, ha il dovere di sostenere la modalità non solamente museale del fare cultura, ma anche quella che vive della sua spinta progressiva. La sperimentazione di oggi serve alla cultura di domani, serve cioè – e non in ultima istanza – a non ridurre un paese a essere mero comprimario nel quadro internazionale. La sperimentazione serve a continuare a fornire un’identità culturale a un popolo che non può continuare a essere costretto a vivere di soli ricordi del passato, ma, al contrario, deve continuare a rigenerare i propri valori culturali con esiti che saranno poi i posteri a giudicare.
Oggi invece nel contesto organizzativo e in quello delle politiche culturali si continua invece a devastare il sottobosco, producendo la sensazione che i soli superstiti di un sistema che sta progressivamente bruciando l’ambiente di rigenerazione naturale del sapere saranno proprio i piromani che hanno contribuito a creare l’incendio. Scrittori, musicisti, politici, sono in molti che in maniera provocatoria o meno, si scagliano, con una pesantezza da pensiero unico, contro il sistema culturale nel suo complesso. Fare critica, cosa assolutamente legittima, diventa devastante quando si nutre di un livore e di una grossolanità che oltretutto fanno rimpiangere gli intellettuali raffinati che questo paese poteva vantare fino a qualche anno fa. E se da una parte i personaggi mediatici giocano con le loro provocazioni, dall’altra si sviluppa la nuova organizzazione dello spettacolo, quella che guarda alla televisione come modello da imitare.
Ecco allora che un festival di successo non si fa mai mancare, anche in un contesto musicale, un vip totalmente decontestualizzato da mettere ben in risalto. Certamente uno sponsor di peso non più non rallegrarsi dell’adozione di un format vincente come quello di un generico programma televisivo con tanto di presentatore o di ospiti noti. Il fatto ancor più grave è che tutto questo genera scelte artistiche sempre più disgraziatamente nazional-popolari, scelte che vanno nella direzione opposta a quelle della sperimentazione del nuovo: si continua disgraziatamente a preservare nel riciclo del post-modernariato d’accatto.
La televisione, in questo paese, è sempre più modello culturale e obbliga chi fa cultura a mettersi in relazione sempre più con il suo linguaggio, la sua grammatica, il suo lessico. Così facendo la programmazione culturale rischia così di inglobare tutto il devastante vuoto televisivo banalmente anche attraverso il coinvolgimento diretto di “personale televisivo” e di tutta la generica paccottiglia mediatica parassitaria, quella che vive per un po’ di immagine e presenza. Il coinvolgimento del pubblico, sempre più miseramente impantanato nel vuoto culturale mediatico sembra voler passare sempre e comunque dalla televisione e questo vecchio mezzo, per molto aspetti superato, riesce ancora purtroppo a dimostrarsi molto invasivo in una società molto rallentata nel suo sviluppo come la nostra.
Quando anche assessorati e ministeri sposano la strategia pubblicitaria del volto (il testimonial) a discapito del contenuti, si ha concretamente la sensazione di un paese che non riesce a mettere un piede nel futuro. Il lifting culturale non dura a lungo e lascia profondi vuoti, fino a quando ci si accorge che l’apparenza è morta quando si pensava che fosse ancora nel fiore degli anni.
ottobre 2009 © altremusiche.it / Michele Coralli
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