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Già collaboratore di navigati jazzisti svizzeri come Pierre Favre e di affermate compagini più “giovanili” come l’Omri Ziegele Billiger Bauer, di cui si è fatto spesso un buon parlare, così come del Tommy Meier Root Down, il sassofonista (alto e soprano), nonché compositore zurighese Jürg Wickihalder precetta qui la sempre disponibilissima connazionale Irene Schweizer nel suo quartetto europeo. E, come si sa, la pianista è sempre garanzia di grandissima qualità armonico-strutturale.
Da parte sua, il jazz che Wickihalder mette su carta risulta sempre molto godibile e suona niente affatto pedante nella sua ricerca di pulizia e precisione: monkiano negli orizzonti della sua componente ritmica, melodico nell’imprinting sudafricano. Come in diverse di quelle esperienze sopra citate, molti musicisti di area svizzera sanno condividere un calore che altrove, specie nell’ambito del quartettismo moderno, viene subordinato alla ricerca di un estetismo spesso privo di emozioni. Una solidissima sezione ritmica fa da ideale contraltare al consumato solismo della Schweizer e all’inventiva tematica del leader che, pur non inventandosi particolari suoni in grado di stagliarsi dalle più affermate scuole del settore, situa nell’invenzione del tratto melodico il suo miglior punto di forza (bellissimo comunque il double-horn à la Roland Kirk). Blues, spigoli be bop, espressionismo mittel-europeo, rari excursus free-form e quel pizzico di umorismo che non stona. Una ricetta che sulla carta sembra solamente un impasto da regolare secondo i giusti equilibri, ma che, al contrario, prevede sempre un equilibrio artistico e un po’ di mestiere per non far sembrare il tutto mero esercizio di stile. Quartetto di grande spessore, ancorché di larghe vedute: non afro-americano centrico dunque, ma europeo appunto, se consideriamo il Vecchio Continente un nuovo centro di decompressione del jazz mondiale.
2012 © altremusiche.it
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